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O
ossi della riòtta (it.: ossi delía ricotta).
Il termine appartiene al cosidetto 'lessico scomparso' della civiltà labronica, atteso che lo stesso Cardinali (Mario, quel caóne) afferma di non averne mai avuto nozione e in considerazione della sua veneranda età sarebbe l'ora che si riponesse.
Comunque risulta dalle nostre fonti orali che il lèmma più frequentemente era collocato all'interno della locuzione: 'non buttar via nemmen l'o della riòtta' e era usato per indicare un comportamento assai parsimonioso o una marcata tendenza al reimpiego di materie e sostanze umili e inutili
In questa espressione si evidenzia un primo elemento paradossale costituito dall'osso della ricotta, rafforzato successivamente dalla necessità della sua riutilizzazione; un piccolo capolavoro di creatività popolare che comunica sinteticamente il perenne e atavico stato di bisogno della gente livornese, non tanto incline quanto costretta al risparmio per ovviare alle ristrettezze economiche provocate «...da quer sudiciume di tu' pa' che ha gioàto tutta la mesata alle 'orse de' 'avalli...», come gustosamente riferisce Cafiero Panciatici nel suo Memorie d'un gran pezzo di merda, Calambrone 1952. «Qui 'un si butta via nemmen l'ossi della riòtta...» era il pacato commento del capofamiglia alla ricomparsa sulla mensa domestica della cosidetta zuppa lombarda, una tipica vivanda della cucina povera labronica, costituita da groncioli di pane secco a bagno in un brodo di fagioli reiteratamente allungato con acqua corrente.


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