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La fotografia della solitudine
La fotografia di Gias Carobbi esprime uno sguardo fuori dalla consolazione e dalla celebrazione dell'occasionale. È semmai l'immaginario della solitudine che Gias ha in qualche modo toccato, scippato ad una realtà sovente non troppo bella. La fotografia è la fine dell'infingimento sullo stupore di essere o non è nulla. Le fotografie del disamore di Gias si spingono oltre la soglia del banale truccato e del sapere artefatto... si addentrano nei vuoti della conoscenza museale (riviste specializzate, mostre, pubblicazioni...) per andare a penetrare il reale laterale, ai margini della sofferenza e ai limiti dell'amore... "Chiunque abbia costruito un nuovo Paradiso, ne ha trovato la forza nel proprio Inferno" (Friedrich W. Nietzsche).
Gias ha fotografato un po' di tutto ma è nel ritratto che più emerge la sua vena antinaturalista, mediterranea, profondamente alea (cioè senza particolari idolatrie culturali). Qui l'irregolare e il difforme rasentano la sconvenienza di esistere... perché nessuno è in grado di aiutare nessuno se non da inizio al viaggio più difficile, quello inferiore che porta alla scoperta del sé. Provare la gioia di giorni sospesi nel tempo, rinunciare alla rapacità del dominio, riscoprire il respiro del cuore... significa sollevare l'amore per l'altro/l'altra, nella leggerezza angelica dell'utopia come splendore della felicità e armonia del gioco... la trascendenza amorosa nasce dall'appartenenza a un sogno che si trascolora nella coscienza che questo sogno divenga realtà.
La scrittura fotografica di Gias si addossa a quelle immagini dell'irregolarità o a quella filosofia dello sconvolgimento che costellano il cammino dei "randagi della fotografia" che hanno disvelato alla storia dell'ordinario, quel "maledetto universo della porta accanto" (E.E. Cummings). Ogni fotografia è una nuova realtà che nasce sul morire di una vecchia realtà.
La fotografia (come ogni forma creativa che emerge veramente dal profondo) nasce dall'infelicità, dall'impossibilità di "essere normali". Le immagini sono spesso più chiare/vere della vita quotidiana, perché in molti modi si spingono oltre la soglia del reale. Le fotografie che restano nella memoria sono quelle indipendenti dalle mode... Ogni fotografia è. una metafora del mondo e un fotografo può pensare a un mondo migliore se riesce ad amare (senza condizioni) ciò che ferma sulla pellicola con la sua "scatola magica". La fotografia è un mezzo "freddo"... può essere di grande impatto espressivo, solitamente è uno strumento di riproduzione patinata o sanguinolenta di un'umanità lasciata alla deriva della propria miseria... La fotografia (non importa se "diretta", "informale" o "soggettiva")... è l'attraversamento dell'arte come formulario di convenzioni stabilite... "L'arbitrio e gli abusi si ingrassano su attività pseudo critiche mosse dai nuovi ricchi della cultura e si scontrano con chi vuole raggiungere una società dove esista il diritto di esprimersi in libertà e vivere nei giardini dei propri desideri" (Gianna Ciao Pointer). Libertà di essere, vuoi dire emanciparsi dalla ricerca di ogni forma di destino... "rinunciare a far parte sia degli eletti sia dei reprobi; essere liberi significa esercitarsi a non essere niente" (E.M. Cioran). L'impostura cade sempre sotto i colpi insolenti della fantasia. Il lavoro fotografico di Gias non si ferma allo scatto... alla cattura di ciò che lo interessa, che lo attrae... le sue stampe sono particolari... quasi buie, sgranate, spesso sono rilevate da una parte del negativo (sviluppato con tecniche personali)... la camera oscura diviene per Gias un prolungamento del suo sguardo solitario, silenzioso, anche scostante... l'opera compiuta suscita interrogativi, distacchi, amoreggiamenti... i suoi ritratti di gente comune (bambini, vecchi, operai, contadini, pastori...) fanno comunque riflettere sulla condizione umana di abitare tempi e spazi diversi, più giusti e più umani per tutti. La fotografia di Gias si riconosce fuori dai dettati della bellezza formale o dall'esibizione galleristica... l'imperfezione, la dissimmetria, la situazione ricostruita dei ritrattati... sono alla base di ogni inquadratura, di ogni interesse compositivo di questo fotografo della solitudine... per Gias la fotografia è un ritrovare i percorsi della felicità, semplicemente giocando... Ed è una sciocchezza dire che il "bello è ciò che è universalmente visto" (Alfred Stieglitz)... non c'è bellezza, ne amore, ne libertà in nessuno sino a quando qualcuno (in qualche parte del mondo) soffre... Tutti possono fare un "paio di ottime fotografie, oppure di bruttissime, che è la stessa cosa" (Henri Cartier Bresson)... pochi riescono a comunicare l'innocenza trasgressiva dell'amore o i disagi arroganti di un'epoca. La cosa più scandalosa della vita è l'amore, perché amare è prendere atto di un incontro già avvenuto che è dentro di noi. La fotografia esprime sempre il pudore o l'impudore di vivere... la sua grandezza è impadronirsi dell'immaginazione, sollecitare ciò che sfugge al senso comune della storia che smaschera... la fotografia (come l'amore e la libertà) fruga al di là del consenso e si impadronisce del niente... perché quello che trova nelle pieghe del reale offeso è ciò che non è ancora... la fotografia della solitudine di Gias ricostruisce soggettività, differenze, anomalie... e rende possibile all'irrealtà di coloro "che hanno sofferto abbastanza da imparare..." (Robert Adams) di trasmutarsi in sogno... fotografare significa riconoscere l'amore e la libertà dell'altro/altra, andare oltre le spinte del desiderio o l'intuizione della speranza e fare di una poetica dell'istante un momento mezzo magico per ricominciare ad amare ciò che ci circonda senza alludere a verità definitive... fotografare vuoi dire ritrovare l'amore e la libertà, semplicemente guardando... nel sogno, in terra e in ogni luogo.