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Ne hanno parlato
Breve messa a fuoco
II primo ricordo che ho di Gias Carobbi risale agli anni '60 quando, ancora liceale, collaboravo insieme ad altri amici al Circolo Culturale "II Galileo" che, fra le sue molteplici attività, riuscì ad organizzare alcuni concorsi nazionali ed internazionali di fotografia. L'uomo, asciutto e scarnito, presiedeva in quella circostanza la giuria e la considerazione di cui godeva lo collocava ad un livello decisamente superiore rispetto a quello medio, pur già notevole, dei concorrenti. In quegli anni la fotografia non era ancora un fenomeno di massa e i pochi che la praticavano con buoni risultati si configuravano come veri e propri amatori (per lo più estremamente gelosi delle tecniche faticosamente acquisite), con la tendenza ad isolarsi, a costituire ristretti cenacoli. L'immagine che ne ho conservata è quella di un uomo schivo, introverso, taciturno, anche se dotato di un sottile humor, di pochi ma sinceri amici. Gli stessi che hanno curato questa mostra retrospettiva, riconoscimento dovuto, seppure tardivo, ad un grande artista.
Le grandi capacità di Carobbi risultano evidenti, anche ai meno esperti, a quelli cioè che vanno a vedere un'esposizione di quadri o di fotografie con scarse o inesistenti conoscenze tecniche e si affidano al puro e semplice istinto o ad un normalissimo senso estetico. L'arte fotografica di Gias è tramite diretto ed efficacissimo di sensazioni, perché, di volta in volta, commuove, diverte, rasserena, appaga l'occhio e lo spirito, non lascia mai indifferenti. Di fronte ai suoi ritratti, rigorosamente in bianco e nero, di fronte a quei sapienti, pastosi dosaggi di luce ed ombra, la prima definizione che mi viene in mente è "luminosi chiaroscuri". Mi nasce quindi spontaneo il confronto con un altro tipo di fotografia moderna, chiassosa, invadente, impudica, rivolta a scandagliare con impietoso realismo le vicende umane, evidenziandone brutalmente gli aspetti meno edificanti. Oppure una fotografia di denuncia apprezzabile per gli intenti che si pone, per la profonda moralità che esprime, ma che è troppo legata alle contingenze temporali. Provate a guardare foto di trenta-quaranta anni fa, che rappresentano vere e proprie "tranches de vie" e che adesso conservano solo un alto valore documentario e, se ne hanno le caratteristiche, sono solo belle immagini, niente di più. Per non parlare di quelle che sono frutto della tecnica più avanzata e rappresentano il risultato, abbastanza sterile, di un virtuosismo fine a se stesso, fatto di inesauribili sperimentalismi, di viraggi, solarizzazioni, tinture e manipolazioni varie. Le foto di Carobbi vanno al di là del tempo: a distanza di decenni conservano inalterata la stessa immediatezza nel comunicare messaggi di profonda umanità, di amore per la vita e la natura. Gias non cercava gloria o denari dalla sua attività di fotografo: è rimasto in questo sempre un grandissimo dilettante, eppure la fotografia avrebbe potuto dargli l'una e l'altra cosa. In realtà egli ha continuato a usare la sua arte come mezzo individuale per esprimersi, per riversare sulle immagini carpite alla realtà e sublimate attraverso il filtro della sua acutissima sensibilità, tutto ciò che riteneva superfluo affidare alle parole, cosa che, probabilmente, lo aiutava a liberarsi da una condizione esistenziale che non lo appagava del tutto, dal lavoro che faceva per vivere e che, in definitiva, mortificava il suo talento. È difficile da credere che potesse trasformare il suo hobby in un'attività redditizia o adattarsi ad esigenze di mercato per cercare un decollo professionale, cosa che gli avrebbe oltretutto richiesto di uscire dal mondo chiuso della provincia ed inseguire altrove grandi opportunità. L'hanno fatto altri personaggi, dotati di minor talento, ma capaci di vendere bene il loro "mestiere" e bene attenti all'evoluzione dei gusti. Gias Carobbi, mi piace pensarlo, non ha voluto mercificare la propria arte, non ha avuto neppure l'ambizione di lasciare alla posterità un consistente ricordo di sé: per questo è stata necessaria una lunga e paziente opera di ricerca e di restauro dei suoi lavori, attingendo a ciò che era rimasto in famiglia, ai paesaggi e ai ritratti presenti nel palazzo comunale o disseminati nelle case di amici e conoscenti, sia a Piombino che altrove e conservati come preziose reliquie. Pur con i limiti di una incompleta ricostruzione del percorso di Gias Carobbi, i lavori esposti e riuniti nel presente catalogo danno ugualmente la misura della sua eccezionale ed innata sensibilità di artista che univa, nelle fasi di sviluppo e di stampa, particolari abilità ed espedienti tecnici, di cui conservare gelosamente il segreto. Questa mostra, oltre ad essere un doveroso riconoscimento ad un grande concittadino scomparso, deve essere per tutti motivo di orgoglio e, semmai, di rammarico che un simile, indiscusso talento non abbia avuto l'opportunità di migliori celebrazioni e consacrazioni. Ricordando infine che Gias Carobbi operava con una storica Pentax spotmatic completamente manuale e che una sua foto, il famoso clown inondato da un secchio d'acqua è esposto al Museo d'Arte Moderna di New York.