UTILISSIME AGGIUNTE AL BORZACCHINI UNIVERSALE OnLine
tarabaralla
Bizzarra espressione ben nota nell'area nord occidentale della Toscana; viene usata nel parlare comune per indicare condizione di sostanziale equilibrio di fronte ad una scelta o a una decisione.Asseriva il Guastapaglia (Enzino M. Guastapaglia, noto commerciante di granaglie dell'empolese e acceso sostenitore della superiorità dei fagioli con l'occhio) che ...l'incedere omofonico del lèmma pur non indenne da allitterazione gnomica e croinatismo crisoelefantino, impone una dizione scandita parisillaba alla maniera del Craveri con andamento a singhiozzo e bomboline di bava agli angoli della bocca, non di meno accompagnata da suono di tiorba frusona o almanco di ghirondola faentina »; «non è vero - replicava il Cacciapaglia, suo cognato e socio in affari - 'tarabaralla' è voce di basso registro e va pronunciata in tonalità di cornamusa agghindata, quasi in mossa di rigodone o furlana, concedendosi più all'onomatopèa che al polimorfismo mitopoietico dell'Arcadia».
A dirimere la dotta questione interviene lo Squarciapaglia (autore insieme al Tapinassi del Vocabolario Italiano A.S.L per la compilazione dei fogli della mutua) dando un taglio alla controversia fonetica ed affermando che 'tarabaralla' deriva dal verbo greco tharabarallein, denotante la posizione di equilibrio instabile di colui che si trova mezzo nudo in bilico sul cornicione d'un casamento perché mentre era lì che trombava una il marito o non t'è rientrato all'improvviso e fra poco si mette anche a piovere.
Il verbo in oggetto è apax legomenon in Aristofane, ma si ritrova più volte nella Sinossi Alessandrina dei Protoverbali di Contravvenzione dei Vigili Urbani di Micene e, nella formula imperativa, tharabaralla, compare nell'arringa di Eschine contro il pedòfilo Penerone di Samotracia, come invito al giudice di mostrarsi imparziale sull'applicazione della pena dell'amputazione del coglione destro piuttosto che di quello sinistro.
La tradizione toscana vuole che la locuzione sia espressa in formula di salomonico responso a fronte di domande del tipo: « Oreste, cosa vòi per cena: le porpette di ieri riscardate o il lesso avanzato di giovedì? » che la moglie premurosa rivolge al gentiluomo livornese nell'atto di congedarlo dopo l'abbondante pasto meridiano a base di baccalà con i porri; «...allora, nell'attimo fatale in cui dalla fornace riarsa dell'esofago esalano miasmi infernali che ottundono la ragione e ardenti lapilli d'indigesta materia schizzan su nella faringe fino alle narici, egli, ringollando longanime l'ennesimo asperrimo fortore (v. Borzacchini Universale, cit.), volto l'ultimo lagrimoso sguardo alle deserte mense, dirà: « Argia, fai 'mpo' te... tarabaralla... » e prenderà la porta in un'apoteosi di ciclopici ruti» (cfr. HOMERO GHINASSI, L'addio di Oreste ad Argìa, in I Ritorni a Gola,Lib.XVII).
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